Negli ultimi mesi la vita professionale mi ha portato ad uno spostamento geografico prolungato con prole al seguito. Questa contingenza ha prodotto un'interessante ed originale esperienza che ha tutte le caratteristiche per poter diventare oggetto di ricerca in campo medico-sociale: il disturbo geografico!
Negli ultimi 3 mesi Luca è stato portato via da Milano, città natale in cui si è sviluppata la vita, la socializzazione, la scolarizzazione e l'etichettamento del bambino per Adhd, deficit di attenzione, dislessia e disturbi comportamentali vari del tipo oppositivo provocatorio ecc..
La certificazione attesta e certifica la presenza di Grave Handicap psichico in soggetto border-line, ingestibile sotto tutti gli aspetti sociali, emotivi, scolastici ecc.
Dal mese di Giugno Luca soggiorna a Napoli per le vacanze estive e senza nessun tipo di difficoltà comincia pian piano ad interagire con l'ambiente.
Seppur con qualche esitazione iniziale, ha provato la piacevole esperienza di sperimentare e socializzare.
La differenza sconcertante che ho potuto rilevare è che il tratto di bambino problematico quì non si è evidenziato.
È indubbio che lo stile di vita di un ragazzino partenopeo ha dei tratti e cadenze differenti rispetto alla vita, in taluni casi, eccessivamente strutturata e superorganizzata che si riscontra a Milano.
Luca a Napoli anziché accendere un faro sul suo comportamento e sulla sua personalità si è quasi mimetizzato fino a risultare un ormai adolescente tranquillo ed assolutamente nello standard partenopeo.
A questo punto mi domando e dico: dov'è l'oggettività della diagnosi se a Milano ha diritto ad invalidità e pensione per grave handicap psichico mentre a Napoli risulta assolutamente nella media sociale dei bambini?
Devo pensare che la popolazione infantile partenopea è stata colpita da epidemia da iperattività e disturbo oppositivo-provocatorio e che nessuno interviene?
Sembra una riflessione provocatoria, ma desidero condividerla con l'obiettivo di dare, come mia abitudine, spunti di riflessione e nuove prospettive da valutare per approfondire ed andare oltre il già detto e già analizzato.
Partendo da questa esperienza che metto al servizio dell'utilità sociale, ipotizzo che si possa cominciare a ravvisare l'opportunità che nuovi studi di ricerca sui bambini vengano fatti nel campo sociale piuttosto che in quello medico.
Esaminare un ambiente culturale e i comportamenti che nascono dagli stimoli offerti da quel contesto, cause ed effetti, può finalmente orientarci in modo differente di fronte a manifestazioni, comportamenti e reazioni individuali dei bambini, piuttosto che una classificazione tramite analisi delle statistiche.
Se si fosse in presenza di un reale problema medico di origine organica genetica o altro... potremmo avere un disturbo che nel Nord Italia dilaga e nel Sud Italia è assente?
L'oggettività di una diagnosi medica potrebbe vacillare ed incrinarsi al cospetto di una lezione di Geografia?
Meditiamo e condividiamo...