dal blog Laffingtonpost di Stefano Laffi
Un esperimento in una scuola media lombarda fa comprendere le potenzialità e le idee che sarebbero a disposizione degli amministratori
Come ci parla una città quando impariamo a leggere? La città è satura, normata, iperregolata, le didascalie che abbiamo messo alle cose sono queste – divieti, cartelli, orari, regole di utilizzo – e gli oggetti e i simboli – semafori, separatori del traffico, strisce pedonali, ecc. – parlano lo stesso linguaggio, evocano una selva di regole da apprendere.
Guido Martinotti diceva a lezione che il traffico “è il più grande esperimento di divisione del lavoro della modernità”: quando sorvoli una metropoli in prossimità di un atterraggio con l’effetto ralenty della visione dall’alto ti colpisce la compostezza e l’ordine dei movimenti, soprattutto se penso all’inferno che è ad altezza uomo, forse ancor più per me che giro in bicicletta.
Ma quella divisione, quella compostezza, quell’equilibrio in regime di traffico automobilistico si paga in cartelli, regole e divieti, in un regime spietato di attenzione, proprio come in fabbrica. Così, quando ti affacci da bambino alla città, tutto è molto complicato, sembra uno spettacolo “vietato ai minori”: dovrai stare attento a tutto, ci avrai messo meno tempo ad imparare a camminare in casa che a farlo fuori.
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