Musica Arte del paradiso

  • Posted on:  Venerdì, 16 Gennaio 2015 14:27
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Dott. Andrea Pirera

Nell’ultimo articolo avevamo promesso di parlare dell’influenza che il fare musica ha sullo spirito. Ho scelto di farlo attraverso la connessione tra musica e religione. So che si tratta di un approccio di parte, ma credo che anche chi non è religioso potrà ritrovarsi, in spirito, nelle osservazioni che seguono.

L’associazione tra musica e religione è certamente diffusa nella maggioranza delle religioni. Dato che però le mie conoscenze riguardano solo l’ambito giudaico-cristiano, le note che seguono riguarderanno solo quest’ultimo, tracciandone sommariamente qualche aspetto.

Nel Credo si afferma che lo Spirito Santo ha parlato per mezzo dei profeti. In che lingua si sono espressi i profeti? Più compiutamente, in che lingua è espressa la Parola di Dio?

Il linguaggio di Dio – chiamiamolo “angelico” – nessuno lo conosce. San Paolo elenca tra i doni dello Spirito quello delle lingue: chi ha avuto il dono di una visione del mondo del sacro parla in una lingua incomprensibile e occorre avere il dono dell’interpretazione per poterlo comunicare agli altri facendosi capire. Senza entrare in argomenti tecnici, è evidente la limitazione derivante dal fatto che comunque si tratta di una traduzione dall’angelico all’umano.

La musica è un linguaggio che migliora la comprensione della Parola. Dato che l’essenza della musica non è esprimibile in linguaggio ordinario, essa costituisce una dimensione aggiuntiva a quest’ultimo. Allo stesso titolo, la musica può dare una nuova dimensione all’umano che parla con Dio mediante la preghiera.

Agli ebrei questa essenziale funzione della musica è ben chiara, come risulta dallo studio dell’Antico Testamento:

Genesi, cap. 4, discendenza di Caino. Il secondo figlio di Lamec è il padre di tutti coloro che suonano il flauto e l’arpa, gli altri due essendo il primo il padre di tutti coloro che abitano nelle tende e il terzo il padre di tutti coloro che lavorano i metalli.

Buona parte dei Salmi iniziano con le istruzioni per il maestro del coro.

Il Salmo di allelujah 150 elenca gli strumenti per rendere lode al Signore.

Il Salmo 137 dicendo “voglio cantare innanzi agli angeli” porta la musica al livello angelico.

Scarsi i riferimenti nel Nuovo Testamento. Gesù da vero israelita certamente seguiva gli usi della sua gente. A conferma nel Vangelo si legge che dopo l’ultima cena “… cantato l’inno uscirono verso il Monte degli Ulivi”.

 

Poco o nulla si sa dei primi secoli delle comunità cristiane, specialmente a Roma, per quanto sia ragionevole supporre che esse seguissero gli usi ebraici. Che la musica venisse utilizzata risulta dal primo riferimento certo, alla fine del quarto secolo, con Ambrogio a Milano, dove troviamo una musica con fondamenti teorici ben solidi.

Dopo questa premessa storica è bene precisare meglio ciò che spinge il credente all’uso della musica. Nel suo discorso ai Bernardins a Parigi nel settembre 2008 Benedetto XVI si è espresso così:

“La Parola di Dio introduce noi stessi nel colloquio con Dio. Il Dio che parla nella Bibbia ci insegna come possiamo parlare con Lui. Specialmente nel Libro dei Salmi, Egli ci dà le parole con le quali possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita con i suoi alti e bassi nel colloquio davanti a Lui, trasformando così la vita stessa in un movimento verso di Lui. I Salmi contengono ripetutamente delle istruzioni anche sul come devono essere cantati e accompagnati con strumenti musicali. Per pregare in base alla Parola di Dio il solo pronunciare non basta, esso richiede la musica. Due canti della liturgia cristiana derivano da testi biblici che li pongono sulle labbra degli Angeli: il Gloria, che è cantato dagli Angeli alla nascita di Gesù, e il Sanctus che secondo Isaia 6 è l’acclamazione dei Serafini che stanno nelle immediate vicinanze di Dio. Alla luce di ciò la liturgia cristiana è invito a cantare assieme agli Angeli e a portare così la parola alla sua destinazione più alta”.

Benedetto XVI usò le parole ora lette all’interno di un discorso mirante a stabilire le radici cristiane della civiltà occidentale. Ispirato anche dal luogo in cui si trovava, egli indica nell’attività dei monaci nei conventi il punto di partenza di questa civiltà, e stabilisce fermamente nel “quaerere Deum” la motivazione della ricerca e visitazione letteraria dei testi antichi, compresi quelli di natura filosofica e quindi anche scientifica. Dio ha usato la parola, e quindi lo studio della parola in tutte le sue forme ed espressioni fa parte della grande ricerca di il “Quaerere Deum”.

La musica ha principalmente a che fare con le emozioni. Le emozioni terrene sono riconducibili ai tre ingredienti fondamentali: amore, gioia e dolore.

La musica è per sua natura adatta, talvolta meglio della parola, all’espressione di sentimenti ed emozioni. La funzione della musica per esprimere amore è un esempio che viene subito alla mente, ma certamente gioia e dolore non sono da meno. Sono come tre colori della stessa cosa, e non si dà nessuno dei tre senza gli altri due. Per l’uomo religioso l’amore di Dio è la cosa colorata.

La Bibbia, intesa come storia dell’uomo e dell’intervento di Dio nella stessa, è intessuta di emozioni contrapposte. Gioia e dolore, in particolar modo, spesso si alternano all’interno dello stesso brano, opponendo bene e male, peccato e perdono, miseria e trionfo, iniquità e giustizia, ecc.. In un certo senso il dolore è il mezzo per arrivare alla gioia. L’ebreo inoltre sente acutamente la gioia dell’essere destinatario della parola di Dio – Davide danzò davanti all’Arca portata a Gerusalemme.

Nella cristianità questo senso di gioia nella legge del Signore si è man mano in parte offuscato. Anche l’iconografia cristiana, particolarmente nel mondo cattolico dopo la controriforma, ha insistito sul dolore, che anche a causa della sua drammaticità storica ha prevalso sulla gioia. Ma la gioia è insita nel cristianesimo così come lo è nell’ebraismo, anzi lo è ancora di più per aver esplicitato la visione del gioioso destino finale dell’uomo.

Penso che questo senso di gioia, che certamente esiste, dovrebbe essere più diffuso. Un solo esempio: durante la messa si canta “alleluia alleluia”, segue un breve versetto, e poi ancora “alleluia, alleluia”. Prima del Concilio di Trento, al posto del versetto vi era una sequenza cantata, di contenuto e durata variabili (alleluia cum sequentia) che prolungava il “jubilus” dell’alleluia – parola quest’ultima che in ebraico significa “lode a Dio”. Il Concilio di Trento, per plausibili ragioni di metodologia liturgica, ridusse le sequenze da circa 5000 a cinque, da usare in altrettante solennità. Ma forse noi cattolici abbiamo perso qualcosa. Uno dei più begli esempi di alleluia è il salmo 150:

ALLELUIA

Lodate il Signore nel suo santuario,

lodatelo nel firmamento della sua potenza;

lodatelo per i suoi prodigi,

lodatelo per la sua immensa grandezza.

Lodatelo con squilli di tromba,

lodatelo con arpa e cetra;

lodatelo con timpani e danze,

lodatelo sulle corde e sui flauti.

Lodatelo con cembali sonori,

lodatelo con cembali squillanti;

ogni vivente dia lode al Signore.

ALLELUIA

E’ un inno di pura gioia, e la musica lo sa esprimere in modo coinvolgente – vedi l’alleluia dall’oratorio “Il Messia” di G. F. Händel.

La lingua latina si rivelò sin dagli inizi molto adatta all’unione con la musica nella liturgia. Il canto gregoriano, con la perfetta fusione tra musica e parola, ha rappresentato uno dei punti più elevati della musica sacra, anche se oggi i modi musicali con cui si esprime ci suonano vetusti. Ma durante il Rinascimento si verificò un fatto nuovo: Martin Lutero tradusse la Bibbia in tedesco, di fatto spodestando il latino dalla posizione che aveva in tutto il mondo cristiano. Mentre le conseguenze religiose e politiche derivanti dalla Riforma furono gravi, se non devastanti, la musica sacra ne trasse solo giovamento. La lingua tedesca si dimostrò sorprendentemente adatta alla fusione con la musica, pur così ben riuscita con il gregoriano, e lo sviluppo dell’espressione musicale nel frattempo intervenuto portò a nuove, altissime vette.

Il luterano J. S. Bach, che soleva apporre in calce alle sue cantate la sigla S.D.G. – Soli Deo Gloria – e il cattolico W. A. Mozart sono solo due degli esempi possibili. In tempi più recenti basti nominare la Sinfonia dei Salmi di I. Stravinskij.

Penso che uno dei compiti che ai laici vengono affidati dalla Chiesa sia anche quello della diffusione della pratica musicale per l’arricchimento e l’elevazione dello spirito. Penso che sia una delle vie del “Quaerere Deum” di cui oggi si sente così acuta necessità, e risponda in pieno all’imperativo di usare i beni che vengono donati dallo Spirito per il bene comune.

In un prossimo articolo parleremo del fare musica dal punto di vista della selezione naturale.

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