dott. Gianni Tagliapietra
Istituto di ricerca di clinica psicanalitica Scienza della parola Udine
Cosa non si fa per non volerne sapere dell’inconscio e a quale prezzo.
Non c'è manifestazione di disagio o di anomia1 che non sia ricondotta oggi alla depressione, vera e propria malattia del secolo. In coppia con il più nobile fratello gemello, lo stress, spiega praticamente tutto quello che non va o non funziona, nel grande (il fatto di cronaca, la Crisi) e nel piccolo (la fatica di vivere di ciascuno). Non c'è fatto di sangue in famiglia - e la famiglia è, statisticamente, il luogo in cui accade la maggior parte dei fatti di sangue - che, nelle mani di giornalisti e psichiatri, non sia spiegabile con la depressione. Che oggi, palesemente, ha preso il posto della non più nominabile follia.
Ma cos'è la depressione? Si dice depressione, oggi, come un tempo (chi se lo ricorda più) si diceva esaurimento nervoso, sulla scia di una etichettatura progressivamente scientifica che rimonta al ballo di S. Vito, al tarantolismo, su su fino alla possessione demoniaca, che ha preceduto la nascita della psichiatria moderna, con l'Illuminismo. Depresso (=posseduto) il suicida, ovviamente, ma anche il matricida o l’uxoricida2, la donna mestruata o post partum, oppure la madre che mette il figlioletto in lavatrice o l'anoressica che mangia niente o la bulimica che mangia tutto. Il consumo di antidepressivi fra il 2000 e il 2008 è aumentato del 310%, per una spesa totale, nel 2009, di 350 milioni di euro. Secondo i dati Osmed3 2011 in Italia il 12% della spesa farmaceutica riguarda antidepressivi e ansiolitici. L'Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che la depressione sarà nel 2020 la seconda causa di disabilità dopo le malattie cardiovascolari.
Una vera e propria pandemia planetaria. Strana malattia, la depressione, che sembra scegliere le sue vittime principalmente tra le donne (malattia sessista? una malattia del sesso? malattia sessuale?). Oppure tra gli anziani. Depressione è termine di conio psichiatrico: il suo uso è già indice di psichiatrizzazione della vita, cioè di accettazione che le questioni che essa pone (a ciascuno, anche allo psi-quelchesivuole) possano ridursi al rango di disfunzione.
E perché tutto dovrebbe funzionare? Chi ha detto che una disfunzione non abbia una logica, una logica altra da quella, tutta ideologica, del benessere o dell'efficienza? Un lutto, una difficoltà, una perdita di qualsiasi tipo, uno smarrimento, il crollo di un'illusione o di una fiducia, ecc., non sono ammissibili nella società dell'euforia permanente, della prestazione, della misurazione di tutto e di tutti? Dirsi depresso è dirsi paziente psichiatrico: ma come non accorgersi che, al contempo, quel dolore sordo, quella confusione come dicono i cosiddetti depressi - è anche il modo con cui qualcosa urge, un’impazienza, che deve trovare vie differenti, non mortificatorie, per giungere a dirsi? Una svolta nella vita è sempre preceduta da quella che per secoli si è chiamata tristezza, che è portatrice di qualcosa che va ascoltato, qualcosa che è dell'ordine della vita, di un'altra vita. Portatrice di una forza, di una pressione (altro che de-pressione!) irriducibile, spesso nemmeno con gli psicofarmaci. Qualcosa che esige un interlocutore, il contrario di un silenziatore, di una sostanza illusoria, di un'esortazione, di una commiserazione.
Qualcosa che Freud chiamò inconscio. Certo, se fosse una malattia, escluderebbe la responsabilità: si è responsabili di una polmonite? Io non c'entro: sono malato, sono depresso. Io non c'entro nel modo in cui si è impostata e condotta la mia vita fino ad oggi, non c'entro con chi mi sta intorno e con il tipo di legami che ho con loro, non c'entro con le cose che non so spiegarmi, con il pianto che mi coglie all'improvviso, con l'apatia che mi prende alla sola idea di scendere dal letto, con le ruminazioni incessanti di pensieri che non riesco ad afferrare, con il rallentamento dei miei stessi movimenti, con la paura che ho degli altri, con la fuga da ogni minima iniziativa.
Io non c'entro con la mia vita, non ne ho la responsabilità.
E chi ce l'ha allora?
1 Anomia: Assenza o mancanza di un nome
2 Uxoricida: Chi uccide la propria moglie
3 OsMed: Osservatorio sull’impiego dei medicinali