Dott. Giorgio Antonucci
Il dottor Giorgio Antonucci usava la comunicazione, gli esami medici e le regolari cure mediche per aiutare pazienti schizofrenici «incurabili» che da decenni erano crudelmente detenuti nel manicomio di Imola. Come parte della terapia, egli insegnò ai propri pazienti a vivere nella collettività e organizzò concerti e viaggi a Roma. Dopo qualche tempo, molti furono dimessi dal manicomio e ritornarono a condurre una vita normale.
Il coraggio potrebbe essere definito come la perseveranza nel superare tutti gli ostacoli, e la comunicazione come il cuore della vita. Il dottor Giorgio Antonucci ha dimostrato di possedere in abbondanza queste due qualità. Questo eccezionale medico ha aiutato a ritornare a vivere centinaia di pazienti sopraffatti dallo squallore e dalla degradazione degli ospedali psichiatrici italiani. Il dottor Antonucci credeva fermamente nel valore della vita umana ed era convinto che la comunicazione, non la reclusione coatta né i maltrattamenti fisici, potesse aiutare anche la persona nella più disperata condizione di disagio.
Il dottor Antonucci si offrì di gestire il reparto 14, il più pericoloso dell’Ospedale Osservanza di Imola, dove erano ricoverate 44 donne schizofreniche, alcune delle quali vivevano legate ai loro letti da 20 anni. L’ospedale era dotato di caratteristiche architettoniche «intimidatorie»: muri molto alti, finestre con le sbarre, porte di ferro, letti fissati al pavimento, e poi camicie di forza e «museruole» di plastica per impedire ai pazienti di mordere. Si poteva «scegliere» fra tre tipi di terapia: elettroshock, shock insulinico e neurolettici.
Lavorando talvolta per 24 ore al giorno e ignorando le proteste delle infermiere, Antonucci iniziò gradualmente a liberare le donne dalla loro reclusione. Il medico ricorda: «Mi sono trovato nella situazione di doverle affrontare personalmente». E così fece, dedicando molte ore al giorno ai colloqui con loro e a «entrare nei loro deliri e nelle loro angosce». Antonucci ascoltò le storie di anni di disperazione e sofferenza «terapeutica» di ognuna delle donne. La sua «cura» era un’influenza calma e tranquillizzante sulle pazienti. Sotto la sua direzione, il reparto 14 smise di essere la corsia più violenta dell’ospedale e diventò la più calma.
Durante la gestione Antonucci, tutte le «terapie» psichiatriche furono abbandonate e sostituite con la comunicazione aperta. Dopo pochi mesi, le sue «pericolose» pazienti erano tutte libere e passeggiavano tranquillamente nel parco dell’ospedale (tranne alcune che, essendo state legate al letto per troppi anni, non erano più in grado di camminare, ma riuscirono comunque a farlo dopo un periodo di riabilitazione). Antonucci aveva trasformato l’ospedale in una sorta di residence, dove ogni paziente aveva la chiave della propria camera. Alla fine era impossibile distinguere un’ex paziente da un’infermiera. Tra il 1973 e il 1996, il dottor Antonucci smantellò sistematicamente alcuni dei reparti psichiatrici più oppressivi, simili più a campi di concentramento che a corsie d’ospedale; ordinò che i pazienti fossero trattati con compassione e rispetto, e senza l’uso di psicofarmaci.
Oggi, grazie al dottor Antonucci, centinaia di persone maltrattate e trascurate hanno recuperato la loro dignità e la loro vita. Vivendo in un ambiente più umano, molte hanno imparato a leggere e scrivere e perfino a lavorare e a prendersi cura di sé da sole per la prima volta nella loro vita. Teresa è una dimostrazione vivente del successo di Antonucci. Dopo essere stata ricoverata per anni, legata al letto della sua piccola stanza e prigioniera della propria mente torturata, la donna visse il resto della sua vita libera dalle coercizioni psichiatriche. Teresa sapeva con assoluta certezza che il dottor Antonucci era il «cuore della vita».