L'urgenza di Pedagogia oggi!

  • Posted on:  Mercoledì, 03 Febbraio 2016 14:58
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Luisa Piarulli
Presidente nazionale ANPE

Se v'è per l'umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l'uomo.
(M. Montessori)

Forse mai come oggi viviamo una fase storico-culturale molto critica e complessa nella quale incertezze, disorientamento e smarrimento sembrano prevalere. Come è giusto che sia si cercano delle strategie, dei modi per superare gli ostacoli e le difficoltà: fa parte del naturale processo di difesa dell'essere umano. Tuttavia oggi al disorientamento e all'urgenza/emergenza si risponde con leggi, decreti e quant'altro, che hanno più il sapore di preoccupante delega educativa che di autentica assunzione di responsabilità educativa, dal momento che non si avviano cambiamenti strutturali reali: vedi le “classi pollaio”, vedi l'insufficienza di fondi alle scuole- nonostante la buona volontà del legislatore- che non consentono iniziative formative estese a tutti i docenti e sistematiche, né, di conseguenza, la possibilità di adottare vincenti metodologie didattiche appropriate a fronte delle problematicità e complessità sociali emergenti! Aspetti che riguardano il pianeta, la scuola non è che un microcosmo.

Un altro aspetto che a nostro parere ha creato condizioni di massima criticità oggi è l'avere marginalizzata la scienza che più di tutte dovrebbe avere un ruolo di autorevolezza nelle scuole e nei contesti educativi, ovvero la PEDAGOGIA. Una scienza che fatica ad essere riconosciuta e ad affermarsi nell'attuale società perchè un tempo c'era! Siamo tra i pochi professionisti a non avere l'albo e l'ordine dei pedagogisti nonostante i numerosi disegni di legge depositati alla Camera dalla mia associazione, l'Anpe sin dal 1990. Abbiamo fatto autovalutazione, come si compete ai buoni pedagogisti, ci siamo trovati anche delle colpe, ma ora sappiamo per certo che le cause maggiori vanno individuate anche altrove.

Nelle scuole imperano psicoterapeuti, servizi di neuropsichiatria infantile, molto spesso interventi dei servizi sociali, con il rischio evidente di “clinicizzazione” e medicalizzazione di un contesto che nasce come educativo a priori. Basti viaggiare per un'ora nei corridoi e nelle aule di una scuola per rendersene conto: gli alunni vengono per lo più descritti e individuati con acronimi di vario tipo: hc, DSA, ADHD, BES con l'evidente pericolo di spersonalizzazione. Ma non è in età evolutiva che il soggetto costruisce e definisce la propria identità?

Se nel '700 si cominciò a parlare di “ cultura dell'infanzia” grazie a Rousseau, opponendosi al processo di adultizzazione, oggi corriamo il pericolo di “abolire l'infanzia” a causa dell'assenza di cultura EDUCATIVA. Oggi sembra imperare la cultura tecnologica come fosse la panacea per risolvere ogni problema, assistiamo a una sorta di tecnocratismo dominante (E. Morin) e. È senz'altro uno scenario che desta preoccupazione e noi pedagogisti siamo fortemente preoccupati! Che cittadini stiamo formando? Quale sarà il futuro che ci attende? Certamente sarà un futuro dove agiranno persone istruite, con innegabili competenze tecniche grazie alle quali accedere a una vera e propria accozzazzaglia di informazioni, ma non educate e prive di pensiero critico.

Che cosa significa educare? Dal lat. educare, educĕre, cioè tirar fuori; che cosa? Il tesoro nascosto che c'è in ciascun essere umano, di quell'essere umano, e che non c'è in nessun altro! Come scrive M. Buber “...in ognuno c'è qualcosa di prezioso che non c'è in nessun altro”, ciò implica che chi educa deve mettersi alla ricerca di quel tesoro segreto che ciascuno custodisce e che aspetta di essere scoperto e valorizzato.

Una delle massime finalità della pedagogia è l'empowerment che indica l'aumento di capacità, lo sviluppo delle potenzialità, il cammino di responsabilizzazione, il potenziamento della persona, che danno accesso a opportunità e che consentono il cammino verso la Conoscenza consapevole e creativa, grazie allo sviluppo del pensiero divergente. Un approccio educativo basato sull'empowerment impone il passaggio da interventi centrati sul problema a interventi centrati sulle capacità e sulle competenze personali. Ciò implica un'inversione di rotta: ovvero partire dal DIRITTO e non dal BISOGNO. Il bisogno, il più delle volte, viene creato dal contesto socio-culturale e politico e rischia di innescare una posizione di passività e di dipendenza nel giovane utente e di rimando nella famiglia. Si va verso “l'impotenza appresa” che svilisce la persona, vanificando ogni sforzo costruttivo per la risoluzione dei problemi e implica un profondo senso di inefficacia e di sfiducia. L'empowerment, ovvero l'acquisizione di potere è il potere dell'essere, della progettualità, della relazione, della reciprocità.

L'apprendimento è la via.

E. Morin e altri prima di lui hanno affermato “meglio una testa ben fatta che una testa ben piena!”. Bene, questo dovrebbe rappresentare l'imperativo categorico dentro le scuole perchè andrebbe a riconoscere uno dei principi più naturali del percorso di crescita: il tempo! C'è bisogno di tempo, un tempo diversificato per ciascun alunno, che significa tempo per osservare, elaborare, interpretare, provare, errare/sbagliare. Quest'ultimo termine riporta al principio di erranza, ovvero percorrere la via, superare ostacoli e giungere a una meta che probabilmente non sarà per sempre. Rivalutiamo la PEDAGOGIA dell'errore. Montessori sosteneva che c'è apprendimento se c'è la scoperta dell'errore, quindi viva l'errore! Ritornare alla pedagogia dell'errore significa ripensare il sistema di valutazione nel processo di apprendimento; alla pretesa di oggettività (la valutazione è sempre o quasi inficiata da componenti inconsce e intrasoggettive del valutatore, producendo i devastanti “effetti alone” o “Pigmalione”) sarebbe auspicabile sostituire il dialogos educativo che condurrebbe alla scoperta dei talenti e delle intelligenze multiple (H. Gardner) producendo curiosità, motivazione verso il SAPERE, processo di metacognizione.

Invece nella nostra scuola di fronte all'errore ripetuto si risponde spesso con la diagnosi o la colpevolizzazione (di pigrizia, di distrazione, di scarso impegno, di non amore verso lo studio...) procurando un sentimento di timore e svilimento sia nell'alunno che nella famiglia. Nelle scuole siamo di fronte al disciplinarismo assoluto che causa compartimentazione e frazionamento del sapere, privilegiando la cultura scientifica a quella umanistica. I pedagogisti affermano l'importanza di accompagnare e di sostenere lo sviluppo delle intelligenze capaci di considerare il contesto e il complesso planetario; la stessa Montessori ha incoraggiato una visione olistica del sapere. Così nasce l'interEsse, ovvero quel naturale intreccio tra le conoscenze che produce autentico Sapere.

Siamo esseri allo stesso tempo cosmici, fisici, biologici, culturali, cerebrali, spirituali... Siamo figli del cosmo ma, ahimè a lui estraneo (Morin)

È dunque urgente che ci fermiamo a riflettere molto seriamente, a ragionare, a dialogare, INSIEME, riscoprendo uno spirito di coralità educativa autentica: le forme di dis-agio non sono forse create da una società non educata- pedagogicamente parlando? Le forme di dipendenza incoraggiate da un contesto iperteconologico non sono forse causate da un'assenza di indicazioni e orientamenti pedagogici in grado di discplinare l'uso impazzito delle tecnologie, nelle scuole comprese? Le disgrafie non potrebbero essere incrementate anche dalla mancanza di abitudine a scrivere manualmente? (carta e penna! Con tutte le implicazioni positive delle emozioni). Le variegate situazioni cosiddette patologiche non sono forse dettate da un'assenza di basilari principi pedagogici? Ovvero l'ascolto – anche del silenzio- l'osservazione, l'incontro, lo spazio di NOITA' (Buber- Rogers), la RELAZIONE EDUCATIVA, la comunicazione, la conversazione (dal lat. conversus, rivolgersi all'altro da me), l'attenzione autentica: tutte vie attraverso cui passa l'apprendimento, qualunque apprendimento. Ma occorre riaffermare di criteri reciprocità e di corresponsabilità educativa. Mentre educo IO educatore mi educo andando verso la trasFormazione, in un'ottica di dinamica flessibilità e contrastando la tendenza attuale di pericolosa omologazione. Ma per questo è necessario raggiungere un giusto grado di empatia che non sempre è compresa sino in fondo da chi è preposto a occuparsi di soggetti in età evolutiva e viene confusa con la simpatia. Intanto piovono interventi cosiddetti psicoterapeutici, mentre l'adozione di buone pratiche di lavoro cooperativo per esempio, permetterebbe il raggiungimento di migliori risultati.

La scuola è quel microcosmo in cui imparare a comunicare (da communis, mettere in comune che implica gratitudine, discrezione e il dono della parola) per riconoscere l'Alterità, interpretare il Volto, l'unicità e la ricchezza di cui è portatore l'individuo (Lèvinas). Quanto tempo viene dedicato al dono della parola nelle scuole e in famiglia? Poco o nulla, tutti travolti dai criteri di efficientismo e frenetico agire non supportato da principi educativi peraltro ovvi. Stiamo andando verso la deriva educativa e non possiamo continuare a rispondere con le diagnosi! A scuola possiamo e dobbiamo divergere da quelli che rappresentano i canoni attuali del processo di apprendimento, considerando il patromonio delle intelligenze che si affidano a noi adulti (intelligenza creativa, musicale, artistica, sociale...). Dobbiamo riaccendere la curiosità e l'entusiasmo, facoltà vive e diffuse nell'infanzia e nell'adolescenza. L'insegnamento deve ridiventare non più solamente una funzione, una specializzazione, una professione, ma un compito di salute pubblica: una missione per ritornare all'arte della docenza. Già Platone aveva indicato come condizione indispensabile di ogni insegnamento l'eros, ovvero la capacità di provare amore per la conoscenza e amore per gli allievi. Ma agli insegnanti bisogna restituire la dignità del loro compito.

Inoltre sarebbe auspicabile evitare di assumere pedissequamente le prassi esterofile senza accompagnarle a studi approfonditi attraverso la ricerca pedagogica autorevole, riconosciuta e scientifica, magari in collaborazione con le Università.

È doveroso fermarsi e costruire un saldo e autentico patto educativo tra le varie agenzie ( scuola, famiglia, istituzioni e associazioni- quadrilatero educativo); rileggendo il testo di Lorenzo Milani “Lettera a una professoressa”, c'è da domandarsi se oggi non si rischia di creare i nuovi ragazzi di Barbiana, quelli esclusi, quelli etichettati perchè “non ce la fanno”. Occorrono COMPETENZE PEDAGOGICHE; se riportiamo la Pedagogia dentro i contesti educativi riusciremo a costruire, a creare, a valorizzare Persone, cittadini di oggi e di domani, di diritto. L'Anpe lavora con grande impegno in questo senso, stiamo faticosamente costruendo alleanze attraverso protocolli e crediamo che la richiesta legittima di riconoscimento della professione pedagogista sarebbe un grosso vantaggio per la nostra società, per un'autentica cittadinanza attiva e consapevole. Tutto passa attraverso l'EDUCAZIONE, se vogliamo davvero raggiungere obiettivi educativi, riportiamo la pedagogia nelle scuole, nella formazione degli insegnanti e nell'accompagnamento alle famiglie. Promuovere agio prima di dovere fronteggiare il disagio!

La pedagogia cosi com’è io la leverei. Ma non ne sono sicuro. Forse se ne faceste di più si scoprirebbe che ha darci qualcosa.
Poi forse si scoprirà che ha da dirci una cosa sola.
Che i ragazzi sono tutti diversi, i momenti storici sono diversi e ogni momento dello stesso ragazzo...
Allora di tutto questo libro basterebbe una pagina che dicesse questo e il resto lo si potrebbe buttar via.
A Barbiana non passava giorno che non s’entrava in problemi pedagogici. Ma non con questo nome.
Per noi avevano il nome preciso di un ragazzo.
Caso per caso, ora per ora...
(Lorenzo Milani)

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