Di REGINA BIONDETTI, medico e psicanalista, vicepresidente dell’Associazione psicanalitica "Il tempo della parola".
Prendendo a modello lo studio delle malattie organiche da parte della medicina, la diagnosi del “Disturbo da deficit di attenzione e iperattività” si basa sulla raccolta di informazioni fornite da genitori, insegnanti, pediatri (in medicina è l’anamnesi) e sull’accurata osservazione “clinica” del comportamento del bambino (in medicina è l’esame obiettivo). Non avendo a disposizione esami di laboratorio, nè tantomeno strumenti quali apparecchi radiografici, microscopi, biopsie, per ottenere la conferma diagnostica dell’esistenza di questa presunta “malattia”, sono stati predisposti appositi quiz e test psicologici. Il libro Disturbi dell’attenzione e iperattività, di E. A. Kirby, L. K. Grimley, tratta, con numerosi esempi, la diagnosi del “Disturbo da deficit di attenzione e iperattività”.
Per una maggiore facilità di lettura abbiamo evidenziato in blu i pezzi tratti direttamente dal libro di E. A. Kirby, L. K. Grimley (n.d.r.)
LA DIAGNOSI DI “DEFICIT DI ATTENZIONE”
Prendendo in considerazione il “Disturbo da deficit di attenzione”, gli autori riportano un esempio che aiuterà “a chiarire meglio la natura del deficit attentivo”. È il caso di Alberto, un ragazzino di otto anni, a cui viene “somministrato il Continuous Performance Test (CPT), una prova adottata di frequente nei soggetti con ADHD”, che sarebbe stato addirittura “messo inizialmente a punto per valutare i danni cerebrali".
Alberto è seduto davanti a uno schermo televisivo, sul quale scorrono, in ordine casuale, dei numeri da 0 a 9 ad intervalli di un secondo e mezzo. Secondo le istruzioni ricevute, egli deve premere un pulsante collegato ad un campanello quando appare la combinazione di uno 0 seguito dal numero 1.
Per qualche minuto tutto procede regolarmente, ma poi il bambino comincia a manifestare segni di insofferenza: si alza e si siede continuamente ed è sempre più irrequieto. Dopo 3 minuti,
Non sono pochi 3 minuti di una cosa del genere! Per un bambino, poi!
egli inizia a lamentarsi con l’insegnante dicendo che il compito è noioso;
Il compito “è noioso”, non lo interessa! Il bambino dice esplicitamente che questo test non gli interessa e che questa è la causa della sua mancanza di attenzione.
e così, mentre parla, non si accorge che è apparso uno 0 e non è ben sicuro della risposta da dare quando vede il numero 1.
Quindi è evidente anche allo psicologo che il bambino non si è accorto perché stava parlando e non perchè presenti una lesione del sistema nervoso centrale.
Decide di non rispondere e questo segna l’inizio di una serie di errori a catena. In tre occasioni Alberto risponde subito allo zero senza attendere il numero successivo. Una volta lascia il pulsante e si mette a braccia conserte.
Trascorsi 6 minuti, Alberto comincia a strofinarsi gli occhi e si lamenta di avere mal di testa. Prova a spegnere lo schermo e dice “Basta così, non mi riesce di andare avanti”. Infine appoggia la testa sul tavolo e resta così, ad occhi chiusi. E visto che l’insegnante continua a fare scorrere i numeri, Alberto si arrabbia, grida “Ho detto basta!” e tiene premuto il pulsante per diversi secondi fino al termine del compito.
Così finalmente il bambino si ribella, dicendo apertamente che il test, accuratamente studiato e predisposto da esperte equipe scientifiche... “è noioso”
Che un test del genere non possa provocare nessun interesse, e che non si possa certo attribuirgli un valore scientifico, appare evidente anche a noi... Ma il bambino lo dice!
E l’abbandono di questo tedioso e insignificante test, dopo 6 minuti (!) è preso invece per un deficit di attenzione, ecco un altro bambino affetto da “Disturbo da deficit di attenzione”, un bambino “ADD”.
Questo può apparire un insuccesso anche al bambino stesso, che viene sottoposto, da parte di cosiddetti “adulti”, addirittura “professionisti esperti”, a un tale inutile, monotono - anzi, proprio come dice il bambino, noiosissimo!
- test, dandogli l’importanza di una grande prova.
Qual è dunque il risultato del test? Dopo 3 minuti il bambino manifesta insofferenza e si alza e si siede continuamente. Fa 3 sbagli, che corrispondono tutti a un’anticipazione, e vengono “contati” dallo psicologo, e 1 volta lascia il pulsante. Dopo 6 minuti smette.
Pare incredibile, ma dati, numeri di questo genere vengono raccolti, su di essi vengono fatte valutazioni e confronti con valori ritenuti “normali”, in quanto ricavati da medie statistiche, e in base a questi si diagnostica l’“ADHD”.
Per fare la diagnosi certa di “Disturbo da deficit di attenzione”, su “questi numeri” vengono fatti complicati calcoli statistici (quozienti, medie, deviazioni standard) e poi vengono riempite tabelle, stilati grafici, fatti confronti, elaborazioni, pubblicati articoli su riviste cosiddette “scientifiche”.
Per evitare il rischio di incorrere in errore ed essere tratti in inganno da “falsi positivi” o “falsi negativi”, si moltiplicano le indagini, i dati rilevati, i sintomi ricercati e, per la massima precisione, i tempi di risposta ai test vengono misurati al decimo di secondo! Vengono proposti continuamente nuovi test diagnostici, che sarebbero più attendibili dei precedenti, e gli “esperti” si confrontano in convegni e dibattiti:
Vi è stato un ampio dibattito [... ] su quale fosse il modo migliore di calcolare la combinazione dei punteggi di latenza e di errore, il cosiddetto valore di impulsività-riflessività².
Valori numerici, quindi dati calcolabili sarebbero sicuramente scientifici!
L’introduzione della matematica, della statistica, quindi delle scienze “esatte”, darebbe parvenza di scientificità a questi studi che proverebbero l’esistenza della nuova malattia! Ma ciò che non è stato considerato è il valore dei dati di partenza che vengono rilevati.
L’ATTENZIONE FLUTTUANTE
Il bambino 3 volte anticipa la risposta e sbaglia. Lo sbaglio, il precipizio in cui le parole e il pulsante cadono, parlando e facendo, l’anticipazione che ciascuno fa in continuazione, ad esempio nei lapsus, vengono considerati patologici dalla psicologia!
Il lapsus, lo sbaglio rilevano invece un altro senso, un’altra direzione dell’intenzione, dell’attenzione, della tensione intellettuale: è il senso che risponde della particolarità, quindi non è il senso comune, il senso voluto dallo psicologo.
Freud parla dell’attenzione nel saggio sulla Tecnica della psicanalisi, dove scrive che l’analista occorre porga “a tutto ciò che gli capita di ascoltare un’‘attenzione fluttuante’ ”
In questo modo [...] si evita un pericolo che è inscindibile dall’applicazione dell’attenzione deliberata. Infatti, non appena ci si propone di mantener tesa la propria attenzione a un determinato livello, si comincia anche a operare una selezione del materiale offerto; se ci si concentra con particolare intensità su un brano, se ne trascura in compenso un altro, e si seguono nella scelta le proprie aspettative o le proprie inclinazioni. Ma appunto questo non si deve fare; seguendo nella scelta le proprie aspettative, si corre il rischio di non trovare mai niente che non si sappia già [...]³
Freud mette in guardia dal pericolo dell’attenzione deliberata, padroneggiata dalla “volontà”, nella quale la scelta delle cose a cui prestare attenzione è determinata dalle proprie aspettative. Ma non è proprio quello che fa lo psicologo? Egli si sforza di trovare quello che ha già in mente e, anche davanti all’evidenza, persiste in tutti i modi nelle sue credenze, cercando di adattare le osservazioni rilevate a delle idee precostituite.
Freud rileva che non c’è padronanza sull’attenzione. L’attenzione fluttua, cioè non si attiene al voler dire, fare, ascoltare, al desiderio immaginario proprio o dell’altro, non parte dal fantasma. Non risponde alla direzione prestabilita. Per questo l’attenzione fluttuante può sembrare disattenzione, ma in realtà è proprio questa l’attenzione, è l’attenzione che fluttua, l’attenzione non padroneggiabile.
LA DIAGNOSI DI “IMPULSIVITÀ/IPERATTIVITÀ”
A dimostrazione di come viene diagnosticata l’impulsività patologica nel bambino “ADHD”, viene riportato un altro esempio, quello di Carlo, sottoposto al “Test di Appaiamento di figure (MFF)”, che secondo gli autori è il principale test utile a questo scopo.
Questo test consiste nell’individuare, fra diverse figure molto simili, quella uguale a un modello. Ciascuna differisce per un piccolo particolare, tranne una che è identica. Lo psicologo registra i tempi di risposta e il numero di errori.
Combinando insieme questi dati egli ricava un valore numerico, il cosiddetto “valore di impulsività-riflessività”.
Anche qui si tratta quindi di misurazione di tempi e di fare conti numerici:
nessun dubbio sul fatto che siamo nell’ambito delle scienze esatte! In base al discostarsi dei valori rilevati da quelli che gli psicologi hanno stabilito essere normali, in quanto rappresentano dei valori medi, viene diagnosticata la malattia ADHD, nel suo aspetto di eccesso di impulsività.
Carlo ha appena terminato il test trovando la figura giusta. Quindi dovrebbe andar bene. Invece no, non basta! Infatti si legge che il test dimostra una “notevole utilità clinica”, se viene “somministrato con un approccio interattivo”. È molto utile, infatti, l’approccio interattivo, ma per lo psicologo... che può in questo modo ribaltare completamente il risultato del test.
L’approccio interattivo consiste nel fatto che, una volta terminato il test, lo psicologo riprende la prova svolta dicendo, ad esempio:
Psicologo: Certe figure erano piuttosto complicate, però ce l’hai fatta. Alcuni bambini non ci riescono proprio. Adesso vorrei che tu riprendessi da capo e mi spiegassi il tuo piano d’azione, o la tua strategia che hai seguito per trovare la risposta giusta.
Carlo: Non lo so. Le ho guardate tutte quante finchè non ho trovato quella buona.
“Non lo so”. Assolutamente inconoscibile il pensiero che opera!
Psicologo: D’accordo, ma cosa faresti se quella che hai scelto fosse invece sbagliata?
Carlo, paziente, risponde. Sembra che questi bambini siano particolarmente equilibrati, capaci di sopportare cose incredibili. Forse avere a che fare con questi trattamenti psicologici li ha temprati o forse, semplicemente, credono di giocare. Ma è un gioco che pagheranno molto caro!
Carlo: Allora proverei un’altra volta.
“Proverei”, mi metterei di nuovo alla ricerca. L’importanza della ricerca, della prova di realtà!
Psicologo: E se tu sbagliassi di nuovo?
Carlo: Farei lo stesso.