A cura di: Luisa Piarulli, Pedagogista Anpe, specializzata in Bioetica e premio Curcio 2016 per la Cultura pedagogica.
La Montessori vuole che l’Educazione rafforzi l’Uomo per purificare la società. Ella ha sentito acutamente la tirannia di una società ricca e potente, come quella moderna, che preme, con le sue forze traboccanti, sulla coscienza dell’uomo indebolito. Vuole perciò il rafforzamento della personalità, lo vuole affinchè l’uomo non sia sopraffatto dall’ambiente sociale […] Il rafforzamento della personalità è il suo postulato più costante […] Solo nel rafforzamento della personalità ella vede ed addita il rimedio alla pericolosa esteriorizzazione dell’uomo moderno […] (L’Educazione sociale nel pensiero di Maria Montessori, di Salvatore Valitutti)
La nostra Costituzione all’articolo 3 sostiene che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge […]. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]”.
Chi è il cittadino? È un luogo abbastanza comune considerare cittadino colei o colui che hanno acquisito diritto di voto o che producono un bene per la società protesa a “riconoscere” le sole stagioni del lavoro (Frabboni), dimenticando che cittadini si diventa nel momento in cui una vita si affaccia al mondo con il primo respiro. L’articolo 9 della Costituzione recita che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica […].
Sono dichiarazioni chiare e sostengono dei principi quasi ovvi; tuttavia il nostro sistema politico, sociale, economico e culturale, per quanto dica o faccia sembra non poterli o volerli garantire e nella sgretolatezza generale, nella frammentarietà di una pseudo-conoscenza, come ci ammonisce Edgar Morin, sembrano non esserci le reali condizioni per un’autentica applicazione di questi principi costituzionali.
Pare di viaggiare costantemente sull’onda dell’emergenza, coinvolti dalle emozioni o dall’affettuosa solidarietà ma non si agisce in profondità per rendere la Persona effettivamente libera di scegliere, di pensare, di rafforzarsi esistenzialmente.
Montessori già dichiarava l’essenzialità del “rafforzamento della personalità affinchè l’uomo non sia sopraffatto dall’ambiente sociale”; perché ciò sia possibile è necessario restituire un ruolo di preminenza alla Cultura, che non è certo “l’accozzaglia di informazioni recepita dalla rete” onde evitare, oggi come ieri, “la pericolosa esteriorizzazione dell’uomo moderno” (Morin).
La Cultura è Conoscenza, è Pensiero, è Riflessività, è capacità di valutazione critica di quanto sta intorno a noi, è Costruzione, è Sapere, è Formazione continua, è Apprendimento costante, è Passione, è Interesse, è Motivazione, è Ricerca, è Sperimentazione, è Dibattito aperto e armonioso, è Laboratorio, è Fatica. Tutto ciò rientra nella cornice di un atteggiamento dinamico e attivo, esuberante e curioso, di una mente che sa Creare, dare vita, innovare e rinnovare, sfidare e sfatare luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi.
uno sguardo attento e pedagogico non può sfuggire uno stato generale di atrofia emozionale e cognitiva invasiva, destinata purtroppo a non arretrarsi, anche in virtù dell’imperante avanzare delle didattiche tecnologiche. Le nuove tecnologie non possono rappresentare la panacea del nostro secolo, né il miglior veicolo della Cultura, ma strumento nelle mani dell’uomo, capace criticamente di utilizzare, gestire, scegliere, discernere nel mare magnum del materiale disponibile. Il pericolo derivante dalla concezione salvifica delle tecnologie riguarda in particolare i giovanissimi che si chiedono generalmente: “Perché studiare? Basta un touch!”. Esse, d’altra parte, non vanno demonizzate, in virtù del progresso del cammino dell’Uomo e degli innegabili vantaggi offerti negli ambiti più svariati, scuola compresa. Ma non bisogna rischiare di cadere nel tecnocratismo (Morin). La cultura è qualcosa di più, perché richiede sensibilità, un particolare affinamento, una componente drammatica in quanto non può né illudere né illudersi […] La vera cultura è sempre problematica, non ha soluzioni definitive, non è cumulativa ed è, nello stesso tempo, una grande risorsa, una ricchezza, incommensurabile, anche perché vuole parlare a tutta l’umanità, far uscire l’Uomo dalla caverna (R. Fornaca).
Ebbene, il bisogno di Pedagogia è evidente visto che siamo di fronte a una destoricizzazione dell’educazione che implicitamente favorisce l’omologazione sociale, mentre la funzione della cultura e di quella pedagogica in particolare, è individuare l’identità, la consistenza, le dinamiche delle situazioni.
Come si fa? Con la creatività, con il pensiero, con l’errore, con la lettura, con uno sguardo coinvolto in ciò che sta intorno a noi: una fitta trama nella quale imparare a osservare, gustare, apprezzare, estasiarsi, comprendere.
I nostri adolescenti, uomini e donne di domani, corrono più che mai il pericolo della spersonalizzazione e dunque della omologazione: sono googlizzati, smartizzati, tablizzati… medicalizzati. Nel loro zaino non può mancare la “medicina per” il mal di testa, il mal di pancia, il ciclo mestruale.
Una smisurata crescita di esperti di vario genere indicano e propinano improbabili soluzioni ai problemi che riguardano questa delicatissima fase della vita: il bullismo, i comportamenti del disturbo alimentare, l’autolesionismo, le dipendenze e altro ancora. Si cercano colpe e colpevoli e si rimproverano genitori e insegnanti che non agiscono nel modo più idoneo. Si propinano corsi, si aprono sportelli psicologici; si chiamano gli esperti ai quali richiedere interventi per lenire e guarire, o gli psichiatri capaci magicamente di trovare la giusta medicina per ognuno. Ottenebramento della mente e della ragione e così non si fa cultura!
È desolante. E loro, i nostri ragazzi, hanno colto l’impotenza, l’incapacità, la fragilità del mondo adulto e qualche volta i ruoli, genitoriale e filiale, si invertono drammaticamente. Nello scenario continua ad esserci un grande assente: la Pedagogia.
Perché c’è Bisogno di Pedagogia?
La Pedagogia è la scienza dell’Educazione e della Formazione che, con interventi mirati, si propone di cogliere il talento di ciascuno e di orientare per sostenere il processo di empowerment. Essa non usa farmaci e non fa test di misurazione, ha a cuore la Persona nel suo sviluppo bio-psico-sociale armonico. Essa avvia il percorso di conoscenza e di riconoscimento della Persona attraverso il “Conosci te stesso!”, agisce maieuticamente perché responsabilmente e con onestà intellettuale, rivela all’utente di non essere in possesso della ricetta magica, che quella agognata ricetta va individuata insieme.
La Pedagogia si assume un compito molto delicato, complesso, difficile e guadagnarsi la fiducia è cosa ancora più ardua in un sociale dove “il tutto e subito” sembra essere garantito. Piacerebbe a tutti che qualcuno per noi risolvesse i nostri problemi ma non è umanamente possibile; le strade sono due: il farmaco (che ci fa detentori di malattia) oppure la ricerca certosina dentro di noi per conoscere, capire, comprendere. Sono le basi per poter costruire Cultura attraverso la conoscenza del proprio talento, delle proprie potenzialità, fiduciosi in un cervello che contiene una straordinaria potenza. Così la Persona acquista resilienza ed è un soggetto e cittadino responsabile e consapevole: una testa pensante, unica, eccellente, non omologata.
La Pedagogia non prevede percorsi lineari e per questo è aperta maggiormente alla possibilità del rischio; essa necessariamente richiede un’azione di ritessitura costante tra ciò che sappiamo, che progettiamo e ciò che si affaccia sullo scenario sempre cangiante dell’esistenza. Apparentemente la Pedagogia può apparire una scienza fragile o poco efficace, incapace di rispondere alle istanze emergenti, poco direttiva, a maggior ragione in un sociale, ripeto, teso alla produttività, al rendimento, alla misurazione continua di competenze, alla competitività. No, essa non può e non deve dare risposte immediate di tipo consumistico: all’intervento pedagogico non corrisponde mai una terapia immediata, ma l’inizio di una relazione educativa.
La Pedagogia è stata ed è, molto spesso, una terra di nessuno, soggetta a presenze e a scorrerie di diverso tipo con risultati talora scoraggianti (R. Fornaca).
La Pedagogia riguarda l’essere umano dall’inizio dei suoi giorni fino all’ultimo dei suoi giorni; il Pedagogista presuppone gli altri nel loro poter essere (…) non già per sottrarre loro la Cura, ma per inserirli autenticamente in essa (M. Heidegger). La cura farmacologica, immediata e temporaneamente efficace, come è in uso oggi, fa sì che lo specialista si sostituisca alla Persona creando una relazione di dipendenza mentre la perfectio dell’uomo, il suo pervenire a ciò che esso, nel suo esser- libero per le possibilità più proprie (per il progetto), può essere, è opera della Cura (M. Heidegger). Il verbo perficere, rimanda al compiere, al portare a termine, a perfezionare, a educare. È chiaro dunque che se il Pedagogista avesse la possibilità di aprire questa porta alla Persona, alla sua speciale e unica esistenza, essa sarebbe padrona e creatrice di Cultura e vivrebbe meglio perché in grado di conoscere se stessa, ontologicamente compresa nell’universo della Vita. Il Pedagogista ovvero lo specialista dei processi formativo-educativi, preda di un contesto consumistico, parcellizzato e frenetico, ha inconsapevolmente contribuito ad avvallare interventi di tipo diagnostico nel tentativo di una collocazione sociale e professionale riconosciuta e riconoscibile. Un grave errore, poichè il Pedagogista è mosso principalmente da un “credo pedagogico” assoluto e non cade mai nella tentazione di utilizzare test o simili.
Che cosa faceva la Montessori? Osservava i bambini al lavoro e attraverso l’osservazione ricavava informazioni, dettagli, bisogni, per creare, adeguare, rintracciare, adattare, permettere la libera espressione del bambino. Per questo, una delle competenze pedagogiche fondamentali è l’ermeneutica, possibile attraverso l’autoconoscenza, il “Conosci te stesso!”, l’autovalutazione costante, la formazione continua, la ricerca, la progettualità in fieri, per affrontare e gestire il cambiamento, una costante della nostra esistenza. Il principio di Lorenzo Milani era “I Care”. E chi non lo ricorda! Voleva dire: “Mi importa, mi stai a cuore”.
La Cura di cui si fa promotore il pedagogista è presenza, è relazione, è meraviglia caleidoscopica, è capacità di stupore, è sorriso, è attenzione, è ascolto, è patire-con, è con-struire. Il suo intervento professionale è caratterizzato dall’intenzionalità di rimettere in movimento, con supporti e strumenti adeguati, la trama dei processi personali che possono favorire la ripresa di un processo interrotto quanto meno sbilanciato (R. Fornaca). È impossibile educare senza relazione.
La professione pedagogica
La professione del Pedagogista è appassionante, si svolge con il cuore, senza però cadere in populismi e forme di retorica pedagogica o di pedante e ridondante moralismo, ovvero il pedagogismo è da evitare (Fornaca). Non è una professione che chiunque possa e debba svolgere.
Egli è un esperto che ha una formazione plurale, solida e continua, ha un’apertura mentale culturale e intellettuale che affiancano la sua preparazione. Possiede una cultura sfaccettata, sa di psicologia, di filosofia, di letteratura, di scienze e via dicendo, utilizza un linguaggio pedagogico con una sua grammatica e una sua sintassi: è così che costruisce la sua affidabilità professionale e scientifica, la sua capacità di districarsi e di orientarsi in una molteplicità di prospettive, di linguaggi, di fenomeni e di processi. Molto più che per altri professionisti il pedagogista non percorre mai, nella sua professione, una via lineare ma inevitabilmente tortuosa, defatigante, continuamente condizionata dalle dinamiche sociali e istituzionali.
Se non esiste un solo settore della vita pubblica e privata in cui non sia implicata l’Educazione (Fornaca), significa che la Pedagogia deve tornare ad essere costante interlocutrice sociale, capace di confrontarsi responsabilmente e con onestà intellettuale, con la complessità del nostro tempo, definendo con rigore scientifico e atteggiamento assertivo ambiti, azioni, ricerche. A partire da ciò si ritornerà a fare Cultura, priorità assoluta ai fini formativi della Persona, in un’ottica fenomenologica dove la sospensione del giudizio o epoché rappresenta la categoria fondamentale che permette di “imparare a vedere” oltre l’apparenza, oltre le sedimentazioni storiche, oltre il velo delle ovvietà che giungono dai nostri pregiudizi e dalle nostre aride consuetudini mentali.
C’è bisogno di pedagogia forse, semplicemente, per rispondere alla domanda che ci sollecita il grande M. Focault: cos’è la vera vita? Azzardo una risposta: la vera vita passa dall’autenticità che si matura attraverso la Cultura e ciò richiede una vera e nuova rivoluzione pedagogica del pensiero.
Bibliografia Erbetta A., L’educazione come esperienza vissuta. Percorsi teorici e campi d’azione, a cura, (Pavia 2011)Focault M., Il coraggio della verità, ed. Feltrinelli
Fornaca R., Processi formativi, ed. Il Segnalibro
Frabboni F., Introduzione alla Pedagogia generale, ed. Laterza
Heiddeger M., Essere e tempo, ed. Mondadori
Morin E., I sette saperi, ed. Raffaello Cortina
Morin E., Insegnare a vivere, ed. Raffaello Cortina
Vita dell’Infanzia, Rivista mensile dell’Opera Nazionale Montessori, Anno LXV 1 / 2 , L’educazione sociale nel pensiero di Maria Montessori, di Salvatore Valitutti