Scritto da Maurizio Brasini
Lo spunto di questa riflessione è la notizia che i casi di autismo sono aumentati di 20 volte dagli anni '70 ad oggi. Un amico mi segnala la notizia e mi domanda spiegazioni: come è possibile?
Io sono stato bambino negli anni '70. Erano gli anni dell'antipsichiatria, della legge sul divorzio e delle figurine.
La mia storia, in quegli anni, è andata così. Subito dopo il referendum sul divorzio, i miei genitori, che erano al passo coi tempi, hanno divorziato. Io a scuola ero molto irrequieto (allora si diceva "vivace"), e in prima elementare mi rifiutavo non soltanto di leggere e scrivere, ma anche di stare seduto al banco. Non mangiavo e non crescevo. Mi hanno tirato le orecchie, mi hanno forzato a impugnare la matita con la mano destra, mi hanno lasciato seduto per ore davanti a un piatto di polpette. Mi hanno anche portato dal dottore. Ma siccome erano gli anni della psichiatria democratica (altrimenti detta antipsichiatria), e non andava di moda affibbiare diagnosi, men che meno ai bambini, nessuno mi ha diagnosticato né un disturbo della condotta, né un deficit attentivo con iperattività, né un disturbo dell'alimentazione, e neanche un disturbo dell'apprendimento. Tutt'al più i grandi avranno pensato: "poverino, coi genitori divorziati, si capisce che sia un po' strano", perché all'epoca era ancora una novità. Poi, siccome non sapevano cosa fare, magari pensavano: "che vuoi farci: è la vita. Se la caverà". Così, da grande sono diventato un mancino corretto, un temperamento riflessivo, un misurato amante della buona tavola, e uno psicoterapeuta specializzato in famiglie e bambini.
E le figurine cosa c'entrano, dirai? Le figurine avevano un ordine ben preciso, con un numero e una casella. Si attaccavano ognuna al suo posto. Non ci si poteva sbagliare; bastava riempire l'album, attaccando le figurine una dopo l'altra, e quelle pagine anonime rivelavano via via il loro senso. Ogni casella aveva il suo volto, ogni squadra la sua pagina. Si attaccavano, le figurine, e poi non si staccavano più. Fare un album delle figurine è come dare il proprio contribuito all'ordine cosmico. Non ho trovato più niente nel mio mestiere che regali la stessa rassicurante sensazione di compiutezza delle figurine. Niente, tranne le diagnosi. La sofferenza di un altro essere umano è più gestibile se hai la casella giusta dove collocarla; se puoi dargli un nome, già ti pare che abbia un senso compiuto. La diagnosi non soltanto alimenta la speranza di una soluzione: dà la sensazione di essere già parte della soluzione. Una buona diagnosi è come una figurina: un passo in più verso il completamento del grande album della psicopatologia. E, proprio come una figurina, non si stacca più.
Parliamo di autismo. Permettimi per di allargare il discorso anche alla dislessia e all'ADHD (sindrome da deficit attentivo con iperattività). Oggigiorno, queste sono considerate le tre sindromi infantili più importanti. Io non sono uno specialista di nessuna delle tre. Ma sono un esperto di bambini e conosco abbastanza bene la psicopatologia da poter dire che i disturbi psichiatrici infantili sono una sporca faccenda. Iniziamo con un po' di storia. Anche se i primi studi sui deficit specifici nella lettura-scrittura risalgono alla fine dell'800, e così anche il concetto di "idiot savant" (idiota sapiente) da cui deriva l'autismo, si pu dire che gli anni '70 siano stati il periodo della scoperta ufficiale di queste sindromi infantili. A partire da quegli stessi anni, per coincidenza, scompaiono dai manuali di psichiatria infantile prima la schizofrenia infantile e poi anche le psicosi infantili. La psichiatria aveva capito per tempo che era il caso di smettere di occuparsi dei bambini, e man mano si era sviluppata una nuova disciplina denominata neuropsichiatria infantile. Curioso come scompaiano certe malattie: in pochi decenni, non esistono più bambini schizofrenici e psicotici. Invece, cominciano ad apparire i bambini autistici, i dislessici e, più avanti, gli iperattivi. Come è possibile? Semplice. Il movimento di riforma della psichiatria punta il dito su chi impone l'etichetta di pazzia. L'opinione pubblica è sensibile a questa forma di stigmatizzazione, soprattutto se operata sui bambini. In breve, le vecchie etichette non sono più utilizzabili. Così si crea lo spazio per quelle nuove. Politica e marketing, nient'altro.
Nel DSM IV, il manuale che fa da punto di riferimento mondiale per la diagnosi in ambito psichiatrico, i minorenni hanno una sezione dedicata a parte. Ci sono, tra gli altri, un capitolo sui disturbi cosiddetti "pervasivi dello sviluppo", uno per i "deficit dell'attenzione e del comportamento", uno per i "disturbi dell'apprendimento". Ovviamente, i sintomi (sui quali notoriamente si effettuano le diagnosi) sono sempre gli stessi di una volta. Che so io: un bambino picchia il compagno di banco? Una volta era un "caratteriale", cioè un delinquentello in erba. Oggi, fino a una certa età è un disturbo oppositivo, poi diventa un disturbo della condotta, e finalmente a 18 anni pu avere l'etichetta di disturbo antisociale. Molto più politically correct, no? Quanto alla parola "psicosi", in ambito infantile è diventata imbarazzante: la si pu ancora utilizzare, ma solo tra colleghi. "Disturbo pervasivo dello sviluppo" suona meglio, molto meglio. Ma chi legge sulla cartella clinica sa già che quello è un bambino che aspetta di avere l'età giusta per ottenere la patente da schizofrenico. La sofferenza psichica esiste, il disagio mentale non è una creazione della psichiatria. Ma il nome da dare a questo disagio, quello sì, è solo un nome.
Non fraintendermi, amico. Non sto proponendo di gettare la maschera dell'ipocrisia e tornare alle vecchie diagnosi di schizofrenia infantile. Sto provando a suggerire un'idea molto più difficile da accettare, e cioè che "schizofrenia" o "autismo" o "ADHD" non siano scoperte, ma invenzioni. Brevetti che si utilizzano fintanto che sono utili e/o non si trova di meglio. Questa idea è destabilizzante, me ne rendo conto. E' più rassicurante pensare che una cosa è lì, esiste ed è reale, e che dal momento che noi la scopriamo ce l'abbiamo in pugno. Tipo Prometeo con il fuoco. Infatti, le nostre notizie scientifiche preferite sono del genere: "Scoperto il gene della follia: a breve il vaccino". Io preferisco le invenzioni; un brevetto è una buona cosa se funziona bene e torna utile. Ma proprio qui sta il punto: a chi o a che cosa servono invenzioni come l'autismo e l'ADHD? E soprattutto in che modo tornano utili, e a chi?
Un disturbo mentale viene descritto e diagnosticato come una "sindrome", cioè: una collezione di sintomi concomitanti. Si parte da manifestazioni tangibili comportamentali. Nel caso dell'autismo, ad esempio: l'incapacità di mantenere il contatto oculare, la tendenza ad evitare scambi interpersonali, l'uso non finalistico delle mani, le stereotipie del movimento. Quindi, si presuppone che quella collezione di sintomi corrisponda ad una malattia ben precisa. Questo modello è proprio della medicina, di cui la psichiatria è un ramo "giovane". In medicina, si sa che se a qualcuno vengono delle fitte addominali, una forte nausea, e gli occhi gialli, significa che probabilmente un calcolo gli ha ostruito un canale biliare. Saper riconoscere questa collezione di sintomi permette al medico di individuare il male che causa quei sintomi e applicare la cura più efficace.
Il caso della patologia psichiatrica è completamente differente. Infatti, le collezioni di sintomi sono stabilite su base probabilistica e sulla base di teorie speculative. Per fare un esempio, se i calcoli della colecisti fossero una patologia psichiatrica si procederebbe cercando di adattare alcune coincidenze (gli occhi gialli e il vomito) ad una teoria. Senza sapere della bile e del calcolo, capisci bene che si possono partorire le teorie più varie e fantasiose. La possessione demoniaca pu essere un buon esempio di teoria per spiegare la coincidenza "occhi gialli + vomito". Ora, senz'altro dai tempi della santa inquisizione ad oggi sono stati fatti dei passi avanti; ma ancora oggi il modello della medicina stenta ad adattarsi alla psicopatologia. C'è chi pensa che sia solo questione di tempo, e chi crede che sia un approccio sbagliato. Ma al momento le cose stanno così. I sintomi descritti dall'autismo, purtroppo, esistono e sono fortemente invalidanti. Ma per chiamare autismo quella certa collezione specifica di sintomi, per definirla una malattia, dovremmo sapere per certo che quei sintomi derivano da una causa comune, e che possono essere individuati e curati efficacemente come una malattia unitaria. E tutto questo al momento non è accertato. L'autismo, al momento, andrebbe considerata una preziosa ipotesi di ricerca.
Non mi credi? Allora giudica da solo. Tieni a mente che le due chiavi di volta di una sindrome non sono i sintomi, ma le cause e le cure. Se scopri perché un bambino ha la febbre, allora puoi curare la malattia che provoca la febbre, e poi la febbre passa da sola, giusto?
Cominciamo dalle cause. A tale riguardo, i tre esempi di sindromi infantili considerati sono impressionantemente simili. Negli anni '70 si tendeva a dare molta enfasi al fattore ambientale. I bambini autistici erano ritenuti vittime di cure parentali inadeguate; l'iperattività si collegava ad un contesto familiare patogeno; i problemi di lettura e scrittura erano ascritti ad uno svantaggio culturale e/o a scarsa applicazione. In sintesi: in mancanza di spiegazioni solide (e di rimedi efficaci), gli esperti davano la colpa alla famiglia in primis, e poi alla scuola. Oggi invece, per tutte e tre queste patologie, la prima cosa che si sente dire è che l'ambiente non c'entra. Sono malattie, lasciate fare agli esperti. Attualmente, le cause vengono ricercate a livello biologico. Innanzitutto, ci si affida all'ipotesi esplicativa genetica. Quindi si va a individuare un certo modo particolare di funzionare di questa o quella area del cervello, o una certa anomalia in questo o quel neuromodulatore. Le innovazioni nelle tecniche di analisi del sistema nervoso centrale dettano altrettante mode esplicative; oggi, ad esempio, tutte le spiegazioni passano per l'amigdala e per il giro del cingolo. Tuttavia, derivare una sindrome psicologica da un certo parametro funzionale del cervello è un errore logico. Gli esseri viventi funzionano a feedback. Se sono felice nel mio cervello aumenta la concentrazione di certe sostanze dette endorfine e, viceversa, se aumenta la concentrazione di quelle sostanze mi sento felice. Poiché il funzionamento è circolare, stabilire una linearità causa-effetto è sempre un arbitrio: è come decidere dove inizia un cerchio.
Se includiamo il fattore genetico, la concatenazione delle cause diventa la seguente: si eredita un certo gene difettoso, il quale fa funzionare una certa parte del cervello in un modo sbagliato; ed ecco l'autismo, l'ADHD, la dislessia. Per tutte e tre queste sindromi attualmente si segue l'ipotesi genetica e si studiano da una parte il genoma e dall'altra il funzionamento del cervello. In tutti e tre i casi considerati, anche se in misura diversa, appare accertato che la genetica è una componente rilevante. Ma è altrettanto evidente che i geni da soli non determinano queste patologie. Si parla di disposizione genetica, e la disposizione è un concetto probabilistico: certe persone hanno geneticamente maggiori probabilità di ammalarsi di altre. Con le malattie mentali, non si riesce mai a trovare un gene difettoso che ti fa ammalare. Io sospetto che l'errore stia nel cercare la determinante genetica come spiegazione unica e finale di un disagio psichico. Un errore che in ambito scientifico si chiama "riduzionismo".
Consideriamo adesso le cure. Le tre sindromi prese in oggetto hanno in comune che non conoscendo per certo le cause non si conosce nemmeno una cura accertata. Così, si impongono le cure derivanti dalle teorie speculative dominanti. L'autismo è stato curato finora nei modi più bizzarri. E' famoso ad esempio il caso di un italiano che aveva proposto una sorta di abbraccio-terapia; un rimedio di tipo ideologico, basato sulla convinzione che gli autistici avevano una carenza di abbracci, e che ha ottenuto molto successo di pubblico, ma scarsi risultati clinici. Gli studiosi più seri al momento riconoscono che non si dispone di cure efficaci. Per i disturbi della lettura-scrittura, un problema che si manifesta in ambito scolastico, non a caso le cure sono di tipo psico-educazionale; esistono questionari per l'individuazione precoce della dislessia, e metodi di insegnamento per "normalizzare" i dislessici. Per l'ADHD, dove il problema per genitori e insegnanti è come tenere a bada un bambino irrequieto, il rimedio elettivo è farmacologico; le stesse multinazionali che producono i farmaci mettono a punto i test da distribuire nelle scuole per individuare i casi a rischio, e curarli farmacologicamente. Con buona pace di genitori ed insegnanti.
Ma allora di cosa stiamo parlando, mi dirai? Come può una sindrome inventata diffondersi così rapidamente? Come è possibile che i casi di autismo siano aumentati di venti volte in trenta anni? Pensaci bene, amico mio. E' proprio qui che i conti non tornano, e te ne sei accorto anche da solo. La risposta è: infatti, non è possibile. Sappi allora che tutte e tre le sindromi infantili di cui ti sto parlando hanno questo inspiegabile andamento dagli anni '70 ad oggi. Un incremento esponenziale. E' impossibile, soprattutto se si chiama in causa la genetica, perché nessuna patologia a base genetica può seguire una curva del genere. Qualcuno dirà che prima non eravamo in grado di diagnosticare queste malattie, e ora invece siamo diventati molto bravi ed accurati. Ma questa spiegazione non regge. Queste patologie si moltiplicano come dei virus, che più si diffondono e più si rafforzano. Possibile che siano contagiose? In un certo senso, sì. Più ci appaiono vere e convincenti, e più bambini rientrano nelle diagnosi. Più ne rientrano nelle diagnosi, e più avranno bisogno di esperti e di cure specialistiche. Si inventano le sindromi, e si inventano anche le cure. Se piazzi sul mercato la sindrome, la cura si venderà da sola.
Ma la sofferenza psichica nei bambini non è un'invenzione. E'importante fare ricerca per comprendere la natura del disagio psichico, senza trasformarlo in un business. Gli esperti, quando non hanno a cuore il loro prestigio accademico e/o il profitto, ammettono che ne sappiamo ancora molto poco, troppo poco. Proprio dalle neuroscienze avanza il sospetto che non ci sia niente nel funzionamento del cervello che somigli alle sindromi psichiatriche così come noi le abbiamo concepite finora. Quello che noi chiamiamo autismo sono probabilmente dieci cose diverse. Chi utilizza il concetto di autismo ai fini della ricerca, da anni ormai parla di disturbi dello spettro autistico. Lo spettro è una bellissima metafora; nello spettro cromatico, il nostro sguardo percepisce una luce bianca uniforme laddove c'è un arcobaleno di colori diversi. Quello che noi chiamiamo ADHD e curiamo con degli psicofarmaci, forse non è una malattia ma un tentativo di cura; il tentativo di recuperare un'attività necessaria al cervello per sviluppare alcune competenze sociali; se così fosse, il farmaco, inibendo un processo riparativo naturale, cronicizzerebbe la malattia che intende curare. Quello che noi chiamiamo dislessia forse è soltanto un modo diverso di far funzionare il cervello, che grazie a Dio ai tempi di Leonardo da Vinci non veniva diagnosticato e curato come una malattia, altrimenti avrebbero "normalizzato" un genio.
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